Abbiamo l’immenso piacere di condividere un articolo della nostra allieva Luisa Vagniluca, vincitore del contest di scrittura della rivista di psicologia online “Il Sigaro Di Freud”, che raccoglie articoli incentrati su tematiche psicologiche, sociali, educative.
“L’estro mi spinge a narrare di forme mutate in corpi nuovi”1
[…]“Protagonista è la danza, con il suo potere ancestrale di trasfigurare i corpi nella trance, nella vivida coscienza collettiva di un’intima interconnessione, come in un respiro cosmico.”2
3, 2 ,1…via.
Sono le ore 20, piazza Sabaudia, Roma. Sede di Momento Danza, scuola di danza attiva da molti anni nella zona Villa Gordiani.
In sala siamo una decina di ragazze ed il maestro di danza contemporanea, che sta svolgendo regolarmente la sua lezione finalizzata a provare principalmente le coreografie per il saggio di fine anno.
Eppure non siamo veramente lì.
In un attimo, iniziando a muoverci sul ritmo del brano degli Shakleton “Death is not final”, ci trasportiamo in una foresta, alle prime luci dell’alba. Questa è la suggestione trasmessa dal maestro Alessandro, che dobbiamo tenere ben presente se vogliamo trasmettere allo spettatore il concept alla base della coreografia. Ci immergiamo nella natura rigogliosa e misteriosa e ci immedesimiamo in tanti piccoli quadrupedi (ognuna di noi può scegliere liberamente il proprio animale “guida”).
Così la trasformazione ha inizio, e gradualmente ci accingiamo ad assumere le sembianze degli animali che popolano questo luogo magico, appena uscito dalle tenebre, per farsi intravedere da un occhio esterno, che a causa della sua natura limitata non può catturare davvero tutto in profondità. Molto è lasciato all’ignoto, all’inconoscibile.
Usciamo dai nostri nascondigli in modo guardingo, ci scrutiamo, osserviamo l’ambiente circostante. Sorgono spontanee delle domande:
Cos’è cambiato rispetto a qualche ora fa? Cosa sta per accadere? Sono pronto a mettermi in gioco? A rischiare? Sono pronto a conoscere qualcosa di cui prima ero all’oscuro? Riuscirò a procurarmi del cibo? Ma soprattutto, posso fidarmi di chi incontrerò sul mio cammino? Ed è così che aggancio lo sguardo di un altro animale, condivido con lui la mia danza, si crea un contatto fisico ed emotivo, sento che posso sbilanciarmi e magari affidare un po’ del mio peso, magari posso rendere l’altro depositario, per qualche istante, di un mio vissuto, di un mio bisogno, per poi di nuovo lasciarmi andare e lasciare andare l’altro, nel flusso del movimento, del ”tutto scorre”. Continuiamo a scorgere tra noi nuovi elementi, animali che si affacciano, titubanti, che provano ad uscire dal loro luogo sicuro. Ci osserviamo a vicenda, perché è con l’osservazione che inizia tutto, e dopo le nostre dichiarazioni d’intenti, veicolate dal linguaggio non verbale, è tutto più chiaro: non siamo minacciosi gli uni per gli altri, non può succedere nulla di pericoloso, almeno per ora. Così, dopo esserci sintonizzati, diventiamo un unico corpo che si muove all’unisono, decidiamo di far confluire le nostre forze per il raggiungimento di uno scopo comune: la formazione di un branco. In questo modo ci sentiamo più forti, non siamo più soli, siamo un gruppo e in gruppo respiriamo, viviamo, speriamo, danziamo.
Di tanto in tanto però alcuni animali si ribellano, interrompono l’equilibrio, e fanno cessare, per qualche istante, l’omeostasi.
Ma il gruppo è potente e non si lascia piegare dalle insidie arrecate da qualche singolo individuo. Si procede ancora, tra ribellioni, lotte, e ripristino dell’equilibrio faticosamente raggiunto e celebrato con una danza unanime.
Ancora qualche scambio fugace e ci avviciniamo alla conclusione della coreografia, alla fine del nostro incontro: ognuna di noi si sente arricchita dall’esperienza. In questo piccolo viaggio non abbiamo solo raccolto qualcosa che prima non possedevamo, ma abbiamo anche lasciato andare ciò che ci costringeva, che ci rendeva limitati e poco propensi all’espansione verso il mondo, verso “l’altro da me” in una modalità più animale che umana. Come esseri umani infatti abbiamo spesso paura di metterci in gioco, paura di varcare una soglia, di superare il confine, e come è noto, paura della morte, vissuta come un tabù nella nostra società. Purtroppo il viaggio è destinato a finire, torniamo nei nostri nascondigli, nei nostri luoghi sicuri, ma più consapevoli: “qualcosa è accaduto” e “qualcosa accadrà ancora”.
Torniamo umani, da quadrupedi a bipedi, pensando ognuna tra sé: “Death is not final”.
Giusto il tempo di respirare e riprenderci dallo sforzo, ed ecco che avviene un’altra trasformazione: ci immergiamo tra le onde, insieme a delle gigantesche balene. Un grande lenzuolo bianco ci sovrasta e lo facciamo muovere cercando di evocare le onde del mare che si susseguono inesorabili e senza sosta. La musica che ci avvolge stavolta risponde al nome di “who we are” del gruppo YOU MAN, ma la coreografia meriterebbe un altro articolo.
Quello che mi preme sottolineare in questa sede, è come, grazie alla danza, al movimento del corpo, entra in gioco il potere -altamente liberatorio- della trasformazione. Possiamo
mettere in atto quindi una grande opportunità, ovvero quella di esplorare la danza contemporanea come possibilità trasformativa, e in qualche modo catartica: una possibilità di grande valore per la nostra psiche. La danza, tra le sue innumerevoli potenzialità, ha il valore aggiunto di farci sperimentare, anche se per un periodo circoscritto e limitato, la libertà di espressione attraverso il movimento e la capacità di trasformarci in qualcosa di diverso, andando a rompere gli schemi della routine alla quale siamo abituati, con tutto ciò che ne consegue a livello emotivo e personale. In sala, la coreografa/il coreografo, fa un lavoro profondo a livello di creazione e di trasmissione, che in qualche modo urla per essere condiviso con lo spettatore, tanta è la forza generatrice alla base dell’atto performativo. Poi c’è il gruppo che recepisce quello sforzo creativo, si immedesima e appunto si “trasforma” raccogliendo lo stimolo che è stato lanciato. Queste coreografie ci permettono di fare tanti parallelismi con la vita reale e al tempo stesso ci permettono di fuggire altrove per qualche minuto e di immergerci in un’esperienza profonda e surreale, quanto necessaria.
Mi sono interrogata a lungo sul perché abbia voluto riportare questa esperienza.
In realtà ho scritto tutto di getto in treno, dopo aver condotto una sessione di danzamovimentoterapia in un centro diurno per pazienti psichiatrici. Le coreografie, infatti, mi hanno permesso di fare dei parallelismi anche con il mondo della danzamovimentoterapia e di ricongiungere la danza alla mia formazione teorica (danzamovimentoterapia e psicologia). Ma perché scegliere di descrivere proprio la coreografia degli animali nella foresta? Molto è legato al tema della trasformazione, vissuta, come descritto, in senso liberatorio, espressivo e catartico, ma c’è anche un’ altra componente non trascurabile, intimamente collegata al tema della trasformazione, ovvero quella musicale. Nel brano “Death is not final” gli strumenti dominanti sono le percussioni. Questo ha riportato la mia mente alle sessioni di danzaterapia in cui le percussioni scandiscono il ritmo, animano i corpi, alimentano la pulsazione e il radicamento al suolo.
[…]“Il tamburo, in mille forme e timbri, scandisce la vita e i rituali di mille culture. È un appello alla vita e alla danza. Il tamburo chiama. Chiama a raccolta Il gruppo al centro del villaggio evoca gli spiriti degli dei e degli antenati, chiama alla danza, che è celebrazione di gioia vitale e rito di trasformazione. Il tamburo è il cuore che fa pulsare la vita del gruppo e la proietta in mille trasformazioni.”3
Nella Danzamovimentoterapia Espressivo-Relazionale si usa una tecnica denominata del “tamburo magico”, un insieme di proposte ispirate ad alcuni esercizi ideati da Herns Duplan (attore, musicista, danzatore, fondatore di Expression Primitive), in cui il conduttore invita i partecipanti ad assumere le forme degli animali via via pronunciati (alcuni anche fantastici), e a muoversi come loro, alternando la staticità della forma al flusso del movimento.
[…]“Nel <<tamburo magico>> ci si affida piuttosto alla suggestione, all’azzeramento del tempo di elaborazione mentale, all’amplificazione della percezione propriocettivo-cinestesica e a quel potentissimo induttore transpersonale di trance che è il ritmo primordiale delle percussioni. […] la tecnica (del tamburo magico) rappresenta perciò per i partecipanti una straordinaria possibilità di <<lasciarsi andare>> e di oltrepassare la consuetudine degli abituali schemi posturali e motori, nonché di ampliare l’orizzonte della propria immagine cinestesica”[…]4.
Per concludere, cercando il significato del termine trasformazione, nell’enciclopedia Treccani si legge come ultima voce: “Nel gioco del rugby, calcio di t. (o assol. trasformazione): tiro in porta che si esegue, con un calcio piazzato o di rimbalzo, dopo avere conseguito una meta, e che, se è realizzato, fa conquistare due punti”. Ecco vorrei condividere con il lettore proprio questa idea, trasposta però al mondo della danza, ovvero la trasformazione del corpo come processo che ci porta ad acquisizioni sempre nuove e mutevoli, mai definitive e sempre in evoluzione, che ci arricchiscono (ci fanno conquistare punti!) e ci rendono persone ancora capaci di provare stupore e di essere attratte e affascinate da un nuovo gesto, una nuova forma, un nuovo movimento.
1. Ovidio, Metamorfosi
2. Bellia V. (2021) Un corpo tra altri corpi, la danzamovimentoterapia espressivo-relazionale, Mimesis (pag.44)
3. Bellia V. (2001) Dove danzavano gli sciamani. Il setting nei gruppi di Danzamovimentoterapia. Franco Angeli, Milano (pag.162)
4. Ibidem, pag 168-169
Si ringraziano:
Alessandro Pustizzi (@pust_86), insegnante di danza contemporanea e danzatore della talentuosa compagnia E.sperimenti Dance Company (@e.sperimentidancecompany) per il suo lavoro sempre ricco e stimolante;
la scuola Momento Danza (@momentodanza) per la professionalità e la passione tangibile;
la scuola di Danzamovimentoterapia Espressivo-Relazionale Dmt-ER® (@dmtatelieroma) per la preziosa formazione;
tutte le compagne di corso, che nonostante la loro giovane età, arricchiscono il mio bagaglio personale e contribuiscono a rendere più leggera qualche mia giornata, riempendola di risate e racconti che mi riportano indietro nel tempo.